Un ritorno inaspettato, un privilegio solo per alcun* scontato
L’ultima avventura del viaggio, in Colombia, è stata l’Amazzonia, su cui c’è davvero tanto da raccontare, un altro pianeta terra, lontano dal sistema in cui viviamo, autosufficiente, lento, accogliente, generoso. Mentre ero lì sono arrivati i decreti #coronavirus, non ci lasciavano entrare né in Perù né in Colombia, ma siamo stati accolti, nella notte, dalla comunità della Isla del Cacao, entrando attraverso la giungla.
L'avventura è iniziata a Leticia, la città principale dell'Amazzonia Colombiana, dove dopo aver passato 2 giorni all'Omshanty Jungle Lodge (www.hostelworld.com), esplorato la selva di notte, nuotato nel Rio Tacana e conosciuto delle viaggiatrici stupende, ho raggiunto l'ostello Hipilandia (hipilandia.com), che organizza dei tours amazzonici lontani dai circuiti turistici e che cerca di comporre dei gruppi di persone con una buena onda e pronte all'avventura. E infatti il nostro tour è stato uno dei più rocamboleschi della loro storia !
La prima comunità che abbiamo incontrato si chiama Vergel dove vive una mescolanza delle tre tribù indigene di questa regione: Ticuna, Giagua e Cocama. Se volete fare l'ayahuasca, andate a trovare i Cocama, dove incontrerete l'abuelo che vi preparerà per due settimane, almeno, prima di farvi fare quest'esperienza. Invocherà gli spiriti di alcune piante che userà per la vostra introduzione a questo rituale (io non ho avuto il tempo di farlo, causa #coronavirus), ma la prossima volta con la dovuta calma sicuramente ripasserò da qui).
Siamo partit* alla volta di Puerto Nariño, un esempio di villaggio eco sostenibile dell'Amazzonia per l'intero globo, ma arrivat* alla frontiera, siamo stat* bloccat*. Infatti proprio quel giorno era arrivato un avviso di non lasciar passare nessun turista nelle comunità indigene, giustamente. Ma a quel punto non ci restava che proseguire e trovare un luogo dove passare la notte. Abbiamo raggiunto, dopo aver percorso un lungo affluente avvolto dalla natura e attraversato la giungla al buio, una comunità dal lato del Perù che ci ha accolto. Le nostre guide indigene, Andrés y Rocky, migranti amazzonici, conoscono queste famiglie da sempre perchè hanno vissuto nomadi passando e imparando da una comunità all'altra per molti anni. Chiedete di loro se andate a fare questo giro, perché sono grandiosi e vi insegneranno tantissimo della loro terra. Vi sentirete sempre di poter trovare una soluzione a qualsiasi problema e imparerete facendo!
Abbiamo mangiato la pizza amazzonica con la base di casabe (una tortilla fatta di pura farina di yuca), montato le amache, e passato una bellissima serata. Quando ci siamo svegliat*, gli uomini erano riuniti alle panche, a parlare e bere un intruglio di aguardiente (liquore colombiano all'anice), escremento di api e miele che dovrebbe dar loro tutte le energie per resistere al caldo e alla giornata di lavoro. Affianco c'era una signora che preparava la farina di yuca, una delle cose che speravo di trovare in viaggio perché l'avevo vista fare in una puntata della serie Netflix Chef's Table (consigliata da Chef Giu Pat).
Non ci restava che tornare verso Leticia per evitare di mettere a rischio le comunità e continuando a navigare il Rio delle Amazzoni, siamo giunt* alla comunità Vista Alegre, dove abbiamo fatto campo base per poi avventurarci, dopo cena, nella giungla, costruire un tetto per la pioggia, montare le amache e passare la notte là, dormendo affianco a un lago dove si sentivano e vedevano i caimanes (piccoli coccodrilli) e il jargon (il serpente più dannatamente velenoso della foresta), oltre a sciami di insetti terribili che ti volavano addosso mentre cercavi di fare un nodo sotto la pioggia...ma a parte questo, dormire in mezzo alla giungla, ascoltare tutti gli stranissimi versi degli animali, aspettarsi l'arrivo di un giaguaro curioso e svegliarsi con le luci dell'alba filtrate dal verde dell'Amazzonia è stato magico.
In mattinata siamo tornat* al villaggio, abbiamo preparato l'azai, l'estratto di un frutto molto particolare, mangiato gli stranissimi pesci che avevamo pescato e visto un'anaconda poco prima di ripartire.
Quello stesso giorno ci si è rotto il motore in mezzo al Rio delle Amazzoni e abbiamo dovuto remare con le nostre mani fino a una piccolissima comunità che ci ha aiutato a trovare un’altra barca con i loro grandi e bellissimi sorrisi.
La Colombia ha iniziato la quarantena totale e ha chiuso le frontiere, io sono tornata a casa, più vicino a famiglia e amici (anche se gli amici sono ovunque così come la famiglia), per non rimanere bloccata dall’altra parte del mondo, per avere qualche tutela in più. Penso a tutte le persone che questa fortuna non ce l’hanno, che non hanno un luogo bello dove chiudersi, che gli cambia poco essere qui o là perché sempre gli ultimi resteranno. Ed è vero che dobbiamo restare a casa, ma facciamolo anche per poter lasciare uscire chi in casa non ce la fa, chi subisce violenza, chi una casa non ce l’ha o chi non ne ha una degna.
Il virus è già arrivato in una comunità nell'Amazzonia brasiliana e ha già ucciso una donna. Non possiamo permetterci di metterl* in pericolo, di imporre loro i virus del mondo globalizzato e lasciarli morire, come durante la colonizzazione.
Non so come alcuni paesi più incasinati riusciranno ad affrontare questa crisi, nonostante ci siano, come del resto anche in Italia, già tanti altri mali, sociali, economici e sanitari cronici da sempre e di cui nessun governo si preoccupa.
Ho scambiato racconti di vita completamente opposti ma sentimentalmente vicini con queste persone. Chissà quando ci rivedremo, ora c’è qualche nuovo ponte che abbiamo costruito insieme a quelle persone.
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